venerdì 6 agosto 2010

FUORI LE MURA recensisce Sovvertire il Diluvio




di Maria Cristina Costanza
Roberta, Lorenzo, Filippo e Michela. Cecilia, Erica, Joseph, Riccardo e Andrea. Sara, Elisa, Alfonso, Piero e Manuela. Marco, Alberto, Valerio e Valentina.
Questi sono i protagonisti dell’azione di cui si narra in Sovvertire il diluvio (18:30 Edizioni) di Isabella Borghese, giovane giornalista romana.
L’autrice infatti ha prodotto un breve memoriale dell’occupazione dei precari dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che nell’autunno del 2009 si confinarono sul tetto dell’Istituto per protestare contro il mancato rinnovo del contratto.
Trascorrono circa due mesi prima di ottenere un vero segnale dall’esterno. In questi due mesi trascorsi sul tetto, in situazione di precarietà, la pioggia si fa sentire spesso, il freddo entra nelle ossa e rende tutto una vera sopravvivenza.
Il tempo, che Borghese riporta nelle sue pagine, è quello dell’attesa, lento e sempre uguale. Lo si ammazza chiacchierando di ciò che è stato e di ciò che sarà, lo si occupa con i propri pensieri di sogni e desideri, lo si impiega con pranzi improvvisati, con una canzone, facendo gli addobbi di Natale.
Amici nella lotta, ci si da forza l’un l’altro nell’attesa che le cose cambino e che non si debba ricorrere a più tristi misure.
Cosa significa, infatti, perdere il lavoro? Ci sono due aspetti uno più pesante dell’altro: il soggettivo e l’oggettivo. Soggettivamente, si viene denigrati nel proprio contributo di lavoro, le capacità vengono sminuite, le conoscenza calpestate. E poi l’oggettivo, il concreto, che riconduce immediatamente alla questione tanto delicata della precarietà: l’affitto, le spese, i figli, le macchine e l’indipendenza.
Queste le preoccupazioni profonde dei precari-occupanti: tutto finirebbe per volar via in un’unica folata di vento dolorosa.
Protestare è necessario per l’uno e per l’altro aspetto, come uomini e come lavoratori.
Farsi sentire è necessario per una vita senza maschere, per più fondi per la ricerca pubblica in Italia, per non essere più ricattabile, per una maggiore consapevolezza e partecipazione dei cittadini, per trovare una banca che conceda il mutuo e ricevere uno stipendio per pagarlo, per poter fare serenamente il (proprio) lavoro.
Il racconto della resistenza che Isabella Borghese ci riporta con il giusto trasporto, scorre senza troppi cambiamenti: non succede niente, se non l’attesa. Solo così, infatti, si può percepire il senso di difficoltà, di preoccupazione e ansia, la frustrazione quotidiana che hanno vissuto i precari-occupanti.
Basterebbe un po’ di onestà. Un mondo più giusto…
Fortunatamente, il finale è lieto: la richiesta viene accolta, i lavoratori reintegrati, la resistenza restituisce i suoi migliori frutti.
Tutto ritorna alla normale quotidianità. Pian piano ci si dimentica di quei giorni duri di pioggia, ma mai del loro significato più profondo, né si smettono di sentire l’orgoglio e la forza derivati da quella azione così importante.

… nell’aria si respira felicità.
La felicità di un lavoratore.

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