sabato 31 dicembre 2011
Liberazione: i lavoratori non mollano. Luce accesa su di loro.
Credevo fosse buffo se non addirittura grottesco il ruolo di chi si sente parte integrante e attiva di una realtà lavorativa, di un giornale che mette in piedi una battaglia necessaria per “non essere sospeso e uscire dalle edicole”, di un’occupazione viva e partecipata, quando però si è dentro a tutto questo da semplice collaboratore volontario da due anni, pur auspicando – logicamente - ad altra condizione lavorativa.
Perché grottesco? Tutti, giornalisti e poligrafici, lottano per non perdere il posto di lavoro, per denunciare quanto sia impossibile anche solo credere che “il proprio” giornale possa chiudere e al margine c’è poi chi si sente stretto in questa realtà, quasi una voce fuori dal coro. Sentirsi stretto significa non capire se sia giusto riconoscersi in una lotta avendo la consapevolezza di una condizione differente da quella degli altri o interrogarsi e supporre di dover restare un osservatore perché quello che si sta perdendo (forse!, la speranza resiste con energia) è solo “uno spazio sul cartaceo, un luogo fatto di carta in cui scrivere”.
C’è un’altra questione che poi prevale su tutto e vince: è sufficiente elaborare altre logiche di pensiero e dirsi che con la sospensione e forse conseguente chiusura di un giornale si sta mettendo in discussione tempo prezioso da dedicare alle lotte degli altri, alla solidarietà che spesso questo lavoro, non per professione ma per semplice umanità, spinge a maturare verso le realtà che si incontrano. In questo preciso momento non è più possibile neanche ipotizzare di sentirsi fuori e/o ai margini di una lotta. Se la differenza sono solo i soldi e il posto di lavoro non è questa una giustificazione in cui riesco a riconoscermi. Ecco qui che quel “credevo fosse buffo” non ha più alcuna ragione di ammissione.
L’esigenza di poter continuare a dare voce a quelle degli altri o a pensare di consigliare i libri che reputo più meritevoli diventa l’unica vera forza che mi fa sentire dentro la lotta che pensavo dovesse essere solo degli altri.
Liberazione, oggi, è al quarto giorno della sua occupazione aperta, in via del Policlinico, 131, pronta ad accogliere lavoratori, compagni, colleghi di lavoro, chiunque voglia avvicinarsi e “tenere accese le luci sul giornale”, così come ieri Roberta Ronconi, durante la conferenza stampa, ha tenuto a precisare in una vera esortazione. Dal primo gennaio su decisione dell’editore di Liberazione, Mrc, saranno sospese le pubblicazioni del giornale, saranno quindi interrotti i precedenti accordi sindacali e tutti i dipendenti del giornale sono destinati alla cassa di integrazione a zero ore. Questo è emerso, non ultimo, il 27 novembre come “decisone irrevocabile”, un vero dictat di Mrc. 50 lavoratori tra giornalisti e poligrafici oggi restano senza futuro. Che fine faranno? Cosa accadrà all’informazione di opposizione se perderà voci come Liberazione? Quali e quante realtà come Liberazione sono a rischio e secondo quali logiche? Quali e quante forze possiamo impiegare per salvare Liberazione da questa possibile chiusura? Dal primo gennaio i lavoratori di Liberazione saranno in ferie forzate. “Ferie fantasma” aggiungerei, dal momento che il direttore Dino Greco e i lavoratori parlano chiaro: “Faremo le ferie al lavoro perché comunque Liberazione lo continueremo a portare avanti”. Questo è già un punto certo. Cosa accadrà a Liberazione? Questo è poco chiaro, invece. Si parla di proseguire con l’online o di un probabile settimanale e questo non fa sorridere: l’online non è “merce” per tutti. Numerosi compagni e lettori di Liberazione appartengono a generazioni che hanno poco a che fare con il computer. Relegare Liberazione all’online significa dunque scontrarsi con una realtà dura e un passo indietro spaventoso, inammissibile: perdere lettori. Gravissimo danno. Il Cdr mentre esprime entusiasmo per il messaggio di solidarietà per i lavoratori, ricevuto da Paolo Ferrero, segretario nazionale di Prc, manifesta tutta la sua preoccupazione: “Occorre riaprire il tavolo delle trattative, sì, il governo Monti inoltre – afferma Carla Cotti (Cdr) – deve far sapere quanto intende mettere a disposizione del fondo Letta ed è altrettanto indispensabile una maggiore trasparenza nell’assegnazione dei fondi dell’editoria”.
Si parla di 30 testate a rischio oggi, ma entro fine 2012 diventeranno 100. Non c’è più da aspettare dunque, ma solo da scegliere nella trasparenza necessaria e a ragione: se i tagli devono minacciare la vita di giornali è bene che venga fatta una ricerca adeguata e si tolgano i fondi a chi li riceve solo per sfruttare in nero i collaboratori e per usufruire dei soldi ricevuti. “Noi del Cdr – dichiara Carla Cotti – abbiamo le nostre proposte per la continuità di Liberazione: la riduzione del cartaceo è una e significa andare incontro ad ulteriori sacrifici, un’altra da valutare è l’aumento temporaneo del costo del giornale. Siamo qui in occupazione, per continuare a lavorare su Liberazione, sull’online e restiamo in attesa di un confronto sindacale. Purtroppo l’editore prima ancora di sedersi al tavolo sindacale aveva già chiuso i contratti per stampa e distribuzione”.
Dino Greco ha annullato le sue ferie e anche lui le passerà in redazione per portare avanti il giornale ( l’online e in pdf il cartaceo) fermo restando che così come nei suoi editoriali di questi giorni continua a parlare di sottoscrizioni popolari e con fermezza “Sì, certo bisogna riaprire la trattativa – dichiara in conferenza – dobbiamo avere numeri concreti, dobbiamo sapere quanto sarà messo a disposizione del fondo letta. Non ci bastano più le parole”. La situazione è drammatica, intricata, spaventa ma non demoralizza i redattori e i poligrafici che, con l’apertura della vertenza, restano in occupazione forti di voler proseguire e spinti e sostenuti da numerosi messaggi di solidarietà che arrivano dalle diverse realtà che circondano la redazione. Pier Francesco Favino si è affacciato ieri in conferenza dichiarando piena solidarietà a questa battaglia e augurandosi che non debba essere l’inizio di una lunga serie. Dopo Liberazione, infatti, a temere il peggio è il manifesto, che nella persona di Benedetto Vecchi ha espresso anche lui totale solidarietà per i lavoratori di Liberazione, “Va fatto un ordine generale nel settore editoriale – ha spiegato - lottare per il pluralismo e la libertà stampa ché altrimenti restano parola vuote; siamo i fratelli di Liberazione, questo significa la nostra totale disponibilità a sostenervi e a permettervi di continuare ad essere in edicola avendo una nostra pagina a disposizione; è necessario, tuttavia, il consenso di tutti i lavoratori e la riapertura delle trattative”. La questione edicola è un’altra parentesi perniciosa, un danno gravissimo perché se è facile per un giornale uscire dalle edicole è difficilissimo poterci rientrare. Non sono giornate facili, un fine anno teso e complicato per Liberazione, “Questo del pluralismo e della libertà di stampa – dichiara Roberto Natale, FNSI e rappresentante del Comitato per la libertà e il diritto all’informazione – è un problema strutturale della nostra fragile democrazia anche dopo il berlusconismo. Chi fa sindacato non può avere colori, questa trattativa va riaperta e oggi sono qui anche per annunciare l’insediamento-solidarietà del Comitato all’interno dell’occupazione”.
Non è poi mancata la presenza dell’ex direttore di Liberazione, Lucio Manisco, di edicolanti e insegnanti precari. La solidarietà di Giammario Giglio, direttore di Confronti, “Sono perplesso per questa situazione, – ammette - per la sospensione. I lettori sono il punto di forza di un giornale. Il web non è sufficiente, questo dev’essere chiaro a tutti”.
Oggi è il 31 dicembre. L’ultima uscita di Liberazione secondo quanto detto è in edicola. Questa notte “occupyLiberazione” invita tutti in redazione a partecipare alla “veglia”, dalle 22:00 in poi. Date necessarie da attendere: il 15 gennaio, quando tutti sapremo che valore hanno le parole di Monti, questi fondi in che modo saranno gestiti e soprattutto a quanto ammontano”. Non ci resta che aspettare e lottare con Liberazione e tutte le testate a rischio che devono continuare a esistere per il pluralismo e il diritto all’informazione libera.
mercoledì 26 ottobre 2011
NON PARLARMI DA CARDINALE, di Isabella Borghese
(…)
Roma, 1 Aprile 2005
I mass media seguono l’evento minuto per minuto.
Ore:7.26. Fedeli già in piedi per entrare a San Pietro.
Giovanni Paolo II è gravemente malato dal trentuno Marzo.
Eppure ha ancora la capacità di chiamare i suoi fedeli e loro pronti arrivano da ogni parte del mondo.
Da ovunque, a oltranza.
Serena, giovane studentessa di economia politica per l’agonia del papa è già pronta. Zaino in spalla, sacco a pelo tra le gambe, panini, pop-corn, coca-cola e qualche calzettone che le ha permesso di superare la notte appena trascorsa. La stessa che Serena ha vissuto al Vaticano come una missione da vera giovane marmotta.
Alle sette e mezza è ancora in piedi, adrenalinica e indistruttibile. Pronta a ricominciare quei cori stile curva sud in un accesissimo Roma-Lazio all’Olimpico. E senza perdere mai di vista il cellulare, che tiene sempre a portata di mano per dedicare qualche Alleluja o Fratello sole e sorella luna, o gli 883. Una delle loro canzoni, durante le ore piccole, è gettonatissima dai Papaboys .
Da qualche altra parte, alle sette e mezza di mattina, Lucia va di corsa. Come sempre, del resto.
Mette su la macchinetta del caffè, carica una lavatrice cercando di non mischiare i colori sbagliati, butta un’occhiata veloce al frigo per vedere di cosa fosse vuoto, entra in doccia col bagnoschiuma al muschio bianco, si asciuga, pulisce il bagno, indossa un tailleur gessato ancora da stirare, ripone gli atti nella valigetta, si pettina e si trucca senza pretendere troppo (ritmi sempre più forsennati)… Manda giù quel bruciante caffè appena uscito, prepara una tazza di latte e biscotti che sistema in un vassoio, versa un succo di frutta al pompelmo rosa e raggiunge poi la cameretta gialla con in mano quello che ha preparato.
Lucia d’improvviso in versione calma apparente poggia su un comodino la colazione, tira su la serranda e si avvicina a un amorevole letto. Con una dolce carezza su quella guancia sognante sussurra Tesoro di mamma, svegliati, è ora di andare a scuola.
E Sara sorridente si stiracchia tirando su il capo.
Di lì a poco lei va a scuola, Lucia trafelata raggiunge lo studio.
Quello, per Lucia, è il primo sospiro di sollievo della giornata.
Ore 12:53 Pellegrinaggio a San Pietro
Serena è in piena missione: sofferente per le condizioni del Papa, e per quel Fabio che l’ha lasciata da pochi giorni.
Non sa come distribuire il suo malessere, così, per non far torto a nessuno, dedica l’ennesimo Alleluja a Giovanni Paolo II e poi un unico pensiero: “Papa, Gesù, Dio…Se Fabio tornerà da me datemi un segnale”.
In quel momento squilla il suo cellulare.
Tempismo perfetto.
E’ Fabio che la chiama per riavere quel Greatest Hits I dei Queen a cui è molto affezionato.
Lucia intanto è immersa in qualche pratica legale. Ma col pensiero fisso a Sara, che non sa ancora se e come andare a prendere a scuola. Un cliente forse tarderà all’appuntamento, ma non ne è certa, appunto. Pensa di contattare la suocera (santa suocera in queste circostanze) o forse di chiamare la baby sitter per evitare le solite ramanzine del tipo “Gliel’avevo detto io al mio povero figliolo che non era il momento di far figli in quel periodo! ”.
D’improvviso, così, la scelta baby sitter sembra senza alcun dubbio la più saggia; deve solo immergere la testa nella sua borsa e cercare la rubrica telefonica.
E mentre è assorta nella sua vita quotidiana, in quegli imprevisti da risolvere, con qualche toppa da mettere qua e là e all’occorrenza le squilla il cellulare.
E’ Serena.
“Serena, ma non sei in pellegrinaggio?”
“Certo, non potevo mancare, sono qui”.
“Dimmi, che succede? Tutto a posto? E’ morto il Papa?, si sfoga d’un fiato, Sapessi che mattinata che ho avuto io! Neanche il tempo di accendere il televisore e di comprare il giornale”.
“Capisci Lucia? Fabio mi ha chiamata proprio in quel momento! Dimmi tu se non è un segnale!”
In sottofondo un sonoro Alleluja.
Durante la conversazione l’esaltazione di Serena fa da contraltare alla perplessità di Lucia così i suoi toni si accendono non poco.
Serena ci rimane male, ma poi giustifica la reazione dell’amica con lo stress che in pochi mesi ha accumulato tra la morte del marito, il lavoro, la casa e Sara.
In cuor suo ha già perdonato Lucia “Dai, Lucia, stai calma. Piuttosto, dai un bacio a Sara e non dimenticarti che dopo i funerali del papa andiamo al Rock Castle! Devi rifarti una vita, lo sai? Scusa ora devo attaccare altrimenti si scarica la batteria e mi serve fino a domani mattina. Faccio nottata anche oggi, te l’ho detto? Ora ti lascio, ciao ciao! Ti voglio bene”.
Serena attacca il cellulare senza neanche dare a Lucia il tempo di salutare.
Ore13:29 Lo sport si ferma.
E tutto sembra essersi fermato.
L’agonia del Papa ha le sembianze di un fenomeno mediatico come se non riguardasse la vita di un uomo. Il palinsesto televisivo ha accantonato tutta la sua programmazione e segue il decorso di quest’agonia minuto per minuto, come fosse una partita di calcio. I mass media enfatizzano quest’evento superando i record storici dell’11 Settembre. Con servizi già pronti, alcuni sfornati altri da sfornare. Si respira nell’aria l’ansia di quell’ultimo respiro, che sarà l’ennesima rincorsa per acquisire maggiore share.
Serena continua le sue preghiere passando tra lacrime, canti, sorrisi a qualche sconosciuto Papaboy. Manda un messaggio a Gabriele per sapere dove si trova Fabio, e uno a Giusy per dirle di non fare uscire la sua amica con lui. Unica pena: non l’avrebbe più cercata.
Poi guarda compiaciuta quelle tre tacche del Nokia che non l’hanno ancora abbandonata.
Nello studio invece Lucia saluta il cliente alle tredici e trenta. Non riesce a trovare la baby sitter così scappa di corsa a scuola a prendere Sara. Ha rinunciato definitivamente all’idea suocera.
Arriva alle quattordici di fronte a quel cancello marrone arrugginito. Sara è l’ultima bambina rimasta. Lei con la maestra. Lei triste, la maestra stizzita per il ritardo di Lucia.
“Sara, mamma deve tornare a lavorare, ti accompagno da nonna e vengo a riprenderti appena chiudo lo studio. Farò il prima possibile”.
D’improvviso dallo specchietto vede delle lacrime scendere sulle guance della piccola.
“Perché piangi Sara? Mamma torna presto, te lo promette”.
“Oggi la maestra mi ha sgridato” si spiega Sara tirando su il naso e passando la lingua sul labbro superiore per asciugare il muco.
“Perché?”
“Ha detto che il Papa sta morendo, che dovevamo pregare Gesù tutti insieme, che dovevamo scrivere una preghiera. Io non l’ho scritta. E mi ha mandato fuori”.
“E perché non l’hai scritta?”
Sara piange senza voler più parlare, questo almeno sembra a Lucia.
“Perché Sara? Lo sai che a mamma puoi dirlo, ti ascolto”.
Nel silenzio trascorrono tre minuti di pianto che a Lucia sembrano un’infinità.
Alla fine solo un secco ‘perchè no’ di Sara.
Poi il silenzio.
Di nuovo il silenzio.
Arriva a Piazza Mazzini. Lucia accompagna la bambina dalla suocera, le asciuga le lacrime. “Stai tranquilla tesoro, non succede nulla se non hai scritto la preghiera per il Papa. Stai tranquilla, mamma torna presto, il prima possibile”.
E torna al lavoro. Va verso lo studio, accende la radio. RDS comunica ore tre e cinque, venticinquemila persone a San Pietro. Eppure Lucia ha per la testa solo quelle lacrime che la fanno star male. Pensa che se in quell’incidente non avesse perso Luca ora l’avrebbe chiamato per dirgli di Sara, di quel pianto e di quel silenzio.
Meglio spegnere la radio.
Ore16:38 Rosario a San Pietro
Serena si guarda intorno, mastica il suo inglese con qualche pellegrino londinese e pensa che in quel marasma deve provare a contattare anche Chiara.
Che a Chiara farebbe bene essere lì.
Che Chiara, a sentir Serena, avrebbe bisogno di un padre spirituale da sempre.
Che Chiara, per l’amica, è una pecorella smarrita.
Che Chiara, lì, non ci sarebbe mai andata.
E Serena lo sa bene.
In effetti Chiara non sente nessuna buona ragione per andare a seguire l’agonia del Papa. Certo non crede che Gesù sia morto di freddo, ma ha troppe domande senza risposta, spinta emozionale pari a zero, fin troppo lontana dalla Chiesa e poi…Tutto quel chiasso!
Lei, come Lucia, non avrebbe mai raggiunto quella folla di fedeli.
Intanto Sara dorme. Sdraiata su quella poltrona, dorme accanto alla nonna. E lei che salta da uno speciale sul Papa all’altro, con il rosario tra le dita di una mano e l’altra mano poggiata sul petto. Proprio nel punto in cui finisce la sua collanina d’oro con tanto di medaglietta che porta la foto di Padre Pio da una parte e quella del marito dall’altra.
Lucia è in studio già da un’ora. Quella separazione giudiziale le sta levando fin troppe energie fino a sentire il peso del tempo che il lavoro toglie alla vita. Alla sua, da ricostruire, a quella di Sara a cui parteciperebbe di più, alle mille cose da sbrigare che ha ogni giorno. Che se una volta le divideva con Luca, ora sono tutte sulle sue spalle. Tutte.
Se non ha tempo per comprare un giornale, ne ha ancora di meno per pensare al Papa. Tra le sue corse e le sue soste ci sono solo conversazioni accese di passanti incrociati per caso che la tengono aggiornata sull’argomento. Ma solo quando riesce a svuotare la testa da tutto il resto.
Il che accade di rado.
Ore18:07 Le discoteche chiuderanno prima.
Ore18:08 Vetrine spente nei negozi in tutta Italia quando morirà il papa.
In pellegrinaggio i Papaboys in fermento.
Si parla della sera che sta per arrivare e Serena è in trepida attesa, come nei suoi sabato sera. Quando si accalca tra la folla a fare la fila per andare a folleggiare in qualche locale. Per rimorchiare e lasciare il suo numero di telefono al bicipite più definito o al sorriso più simpatico, o magari a tutti e due per non far torto a nessuno.
Lucia in quel frangente rimanda un appuntamento.
E solo per quel frigo semivuoto che deve riempire e per non togliere altro tempo a Sara. Lei appena svegliata beve un succo di frutta alla pera e mangia pane burro e marmellata ai fichi fatta dalla nonna. E la nonna le mette il dvd di Mary Poppins per spostarsi poi in cucina e proseguire con gli speciali e le sue preghiere.
Chiara, dopo la telefonata di Serena, sente gli amici del mare.
Loro di certo non parteciperebbero neanche alla prossima veglia e come lei, evitando il centro, godranno di quella serata con strade poco trafficate.
Senza fare troppe file nei locali di certo semivuoti e con la solita desiderata birra.
Ore20:17 Cresce allarme in Vaticano.
Ore 21:19 Inizia il rosario.
Ore 21:37 Il papa è morto.
Cresce la febbre del sabato sera con cellulari che impazziscono, lacrime che inondano volti stanchi e ancora presenti. Serena, una fra tante, è pronta con l’indice sulla tastiera del cellulare a mandare messaggi sconcertanti.
Imperversa così una sorta di catena di Sant’Antonio da brivido:Giovanni Paolo II se n’è andato. Manda un sms a tutti i tuoi amici e ti assicuri un posto in paradiso , oppure Il Papa è andato da Jesus Christ Superstar. Se mandi un sms a dieci amici tuoi riceverai una ricarica di due euro o accumuli otto punti , o ancora Il papa è morto. Domani rave al vaticano, guest star della serata Gigi D’Alessio con Questo piccolo grande papa.
Roma, 8 Aprile 2005
Ore 10:00 Funerali del Papa
Le esequie sempre tra pellegrini, calzini, pop-corn, Malboro lights e cellulare a tiro.
Serena mano nella mano con la nuova amica Doddy, anche lei una fedelissima, procede tra la folla con la veemenza di uno tsunami .
Quel funerale è una corsa sfrenata verso l’altare, e Doddy impugna la bandiera italiana come un passaporto da mostrare alla dogana.
Così Serena e l’amica, irriducibili, proseguono la loro marcia serrata verso quel legno ciliegio con in testa l’unica preoccupazione di poter dire Io ho toccato pure la bara! Io c’ero!...Proprio in quel momento si imbattono in un gruppo di spagnoli, anche loro al funerale con la bandiera di appartenenza.
Serena si blocca, ma solo un attimo, il tempo di guardare lo straniero negli occhi con la convinzione che si sposterà.
Nulla di fatto.
Gli occhi di Serena si infiammano e puntano inferociti quelli dello spagnolo che le sta ancora di fronte.
La rabbia di Serena prende corpo in parole e toni decisamente ardimentosi “Fammi passare! Questa è casa mia, levati di qui!”
Lo spagnolo rimane basito e impassibile. Serena, per tutta risposta, gli allunga una spallata tirando Doddy per il braccio.
Tra botte, spinte e strattoni inopportuni raggiungono l’altare.
La suocera è in cucina a piangere, commossa, con la medaglietta tra le mani. “Pregherò tutta la notte per il nostro Papa” dice parlando da sola di fronte al televisore “Che Dio lo Benedica e lo protegga”. Accende poi un’altra candela sul davanzale.
Chiara è a cena da “I Butteri” con Davide, Gianni, Ludovica ed Emma.
Alle venti e trentasette nelle sala cala il silenzio.
In tutti i tavoli.
Il Papa è morto, annuncia la tv.
Gli occhi di tutti sono rivolti allo speciale trasmesso da quei trentuno pollici.
Nel silenzio che impera c’era chi bisbiglia commenti, chi sorseggia la birra, chi finisce di mangiare, chi si guarda intorno per assorbire le diverse reazioni.
Chiara butta giù un altro sorso della sua doppio malto e sfiora Davide con una carezza. Che ateo da sempre come lei in quel momento di silenzio e distacco reagisce comunque commosso. E lei gli regala solo una carezza di affetto, poi senza dir nulla gli porge l'ultimo goccio di birra.
Gianni lascia i soldi sul tavolo “Ragazzi, scusate, ho bisogno di andare da Lucia. Vi chiamo domani”.
Lucia non ha ancora saputo nulla.
Rientrata a casa adesso.
Deve stendere la lavatrice, sistemare la spesa, preparare la cena, fare la doccia a Sara, farla mangiare e metterla a dormire.
E deve parlare con Sara. Questa la cosa più importante. Parlare e ascoltare Sara. Capire quel pianto motivato solo da quel secco ‘perché no’.
Decide di cominciare da questo, la cosa che le preme di più.
“Sara aiuti mamma a stendere i panni? Ti va di passarmeli?”
Lei annuisce, felice di godersi un po’ la sua mamma. Le corre incontro con tre magliette e un calzino.
“Tieni mamma” le dice abbracciandole i fianchi, lì dove arriva.
“Che hai fatto oggi con nonna?”
“Ho fatto finta di vedere Mary Poppins” si confida col tono di chi sta confessando un segreto.
“Hai fatto finta? Che significa?”
“Ti ricordi mamma quel foglio bianco? Quello della preghiera per il Papa?”
“Certo che mi ricordo, ti ascoltavo oggi in macchina”
“Io non so perché gli devo voler bene al Papa, perché gli dovevo scrivere una preghiera, non lo so mamma, davvero, ma so perché non volevo” continuava Sara con spontaneità, passandole altri indumenti.
“Me lo vuoi dire?” chiede Lucia incuriosita.
“Quando la maestra mi ha dato quel foglio bianco ho pensato a papà. Perché papà è morto in quell’incidente e non l’hanno curato bene? Io a papà gli voglio bene, è a lui che volevo scrivere. A lui ho scritto quando nonna mi ha messo Mary Poppins”.
Sara ha sette anni, così piccola eppure così grande e forte nello spiegarsi.
Adesso è Lucia, per amore, a trattenere le lacrime. Lucia non sa come proseguire. “Sara, ma per te chi è il Papa?”
“E’ Gesù nella Terra”.
“E Gesù chi è per Te?”
“Gesù è quello che mi ha portato via papà”.
“Non è importante che tu non abbia scritto la preghiera per il papa, Sara, stai tranquilla. E se quel foglio bianco era per il tuo papà, va bene, va bene così”.
Lucia con queste parole spera solo di riuscire a insegnarle la vita, cos’è davvero la vita. Quando crescerà le spiegherà com’è che invece VA .
Non sempre come dovrebbe.
“Allora non sei arrabbiata anche tu con me, mamma?”
“Certo che non lo sono” la rassicura Lucia.
Sara le passa l’ultimo calzino mostrandole un tenero sorriso e canticchiando “Supercalifragilistichespiralidoso…” .
Dopo fa la doccia, cen con la mamma e di lì a poco entra nel suo amorevole letto.
Come sempre.
Lucia lava i piatti pensando alla chiacchierata con la figlia.
Gianni suona il campanello.
Alle ventitre e trenta. Orario insolito.
Lucia si mette di fretta una tuta e una felpa e va ad accogliere il suo amico.
“Ehi, che ci fai qui a quest’ora?”
“Hai sentito?... Il Papa?…E’ morto”. Gianni si guarda intorno, basito nel non vedere un televisore acceso e nel vedere il volto sorpreso dell'amica . “Ma dove vivi Lucia? Non sapevi nulla?”
“Scusa Gianni ho avuto una giornata difficile, preferirei andare a dormire”.
Così Lucia congeda il caro amico.
Dopo averlo salutato chiude la porta, va in salone e accende il televisore.
Danno servizi speciali su ogni canale.
Dopo pochi minuti, esausta, preme il tasto mute del telecomando. Lucia si concede solo qualche immagine. Troppe parole, pensa, troppo inutili.
Così alza lo sguardo per leggere una notizia curiosa che passano sul video: Ha acceso un lumino per il papa e ha mandato a fuoco l’appartamento. E’successo a Spoleto e la responsabile dell’episodio è una donna sola, uscita però indenne da quest’incidente casalingo. Per miracolo, spiega lei, perché il Papa mi ha salvata!.
Ah già, pensava Lucia interdetta, i miracoli.
Legge poi un’altra notizia: ore 21:37. Muore il papa. Il famoso segreto di Fatima è rivelato dalla somma dei numeri che compongono l’ora della sua morte. Due più uno più tre più sette dà il famoso tredici. Mistero svelato.
E con questa rivelazione Lucia chiude la sua giornata.
Si affaccia alla camera di Sara “Buonanotte piccola” le sussurra e attenta a non fare rumore va nella sua stanza.
Guarda quella metà del letto vuota e tira un forte e lungo sospiro.
Poi punta la sveglia alle sette.
Come sempre.
E va a dormire.
Come sempre.
Nei giorni a seguire c'è il Conclave, il mondo in attesa di quella fumata bianca. Serena fa un’ultima telefonata: “Lucia sai che c’è? Sto pensando che da cardinale io voterei senza dubbio Ratzinger, da donna di colore l’Africano, da ballerina di salsa il latinoamericano. E sto pensando che dopo il Conclave voglio uscire di nuovo col bicipite definito…Si, mi sono rimessa con Fabio, ma….Beh, a Fabio dirò che esco con te”.
Lucia comincia a credere che durante i cori, in quei giorni, fosse partito un fumogeno dritto dritto sui neuroni dell’amica. Inorridita, Serena! Esclama, NON PUOI PARLARMI DA CARDINALE!’
Questa volta è Lucia, piuttosto spazientita, ad attaccare il telefono.
E lei, Lucia, ancora non ha avuto modo né tempo di pensare alla morte del Papa.
NON PARLARMI DA CARDINALE, di Isabella Borghese
(…)
Roma, 1 Aprile 2005
I mass media seguono l’evento minuto per minuto.
Ore:7.26. Fedeli già in piedi per entrare a San Pietro.
Giovanni Paolo II è gravemente malato dal trentuno Marzo.
Eppure ha ancora la capacità di chiamare i suoi fedeli e loro pronti arrivano da ogni parte del mondo.
Da ovunque, a oltranza.
Serena, giovane studentessa di economia politica per l’agonia del papa è già pronta. Zaino in spalla, sacco a pelo tra le gambe, panini, pop-corn, coca-cola e qualche calzettone che le ha permesso di superare la notte appena trascorsa. La stessa che Serena ha vissuto al Vaticano come una missione da vera giovane marmotta.
Alle sette e mezza è ancora in piedi, adrenalinica e indistruttibile. Pronta a ricominciare quei cori stile curva sud in un accesissimo Roma-Lazio all’Olimpico. E senza perdere mai di vista il cellulare, che tiene sempre a portata di mano per dedicare qualche Alleluja o Fratello sole e sorella luna, o gli 883. Una delle loro canzoni, durante le ore piccole, è gettonatissima dai Papaboys .
Da qualche altra parte, alle sette e mezza di mattina, Lucia va di corsa. Come sempre, del resto.
Mette su la macchinetta del caffè, carica una lavatrice cercando di non mischiare i colori sbagliati, butta un’occhiata veloce al frigo per vedere di cosa fosse vuoto, entra in doccia col bagnoschiuma al muschio bianco, si asciuga, pulisce il bagno, indossa un tailleur gessato ancora da stirare, ripone gli atti nella valigetta, si pettina e si trucca senza pretendere troppo (ritmi sempre più forsennati)… Manda giù quel bruciante caffè appena uscito, prepara una tazza di latte e biscotti che sistema in un vassoio, versa un succo di frutta al pompelmo rosa e raggiunge poi la cameretta gialla con in mano quello che ha preparato.
Lucia d’improvviso in versione calma apparente poggia su un comodino la colazione, tira su la serranda e si avvicina a un amorevole letto. Con una dolce carezza su quella guancia sognante sussurra Tesoro di mamma, svegliati, è ora di andare a scuola.
E Sara sorridente si stiracchia tirando su il capo.
Di lì a poco lei va a scuola, Lucia trafelata raggiunge lo studio.
Quello, per Lucia, è il primo sospiro di sollievo della giornata.
Ore 12:53 Pellegrinaggio a San Pietro
Serena è in piena missione: sofferente per le condizioni del Papa, e per quel Fabio che l’ha lasciata da pochi giorni.
Non sa come distribuire il suo malessere, così, per non far torto a nessuno, dedica l’ennesimo Alleluja a Giovanni Paolo II e poi un unico pensiero: “Papa, Gesù, Dio…Se Fabio tornerà da me datemi un segnale”.
In quel momento squilla il suo cellulare.
Tempismo perfetto.
E’ Fabio che la chiama per riavere quel Greatest Hits I dei Queen a cui è molto affezionato.
Lucia intanto è immersa in qualche pratica legale. Ma col pensiero fisso a Sara, che non sa ancora se e come andare a prendere a scuola. Un cliente forse tarderà all’appuntamento, ma non ne è certa, appunto. Pensa di contattare la suocera (santa suocera in queste circostanze) o forse di chiamare la baby sitter per evitare le solite ramanzine del tipo “Gliel’avevo detto io al mio povero figliolo che non era il momento di far figli in quel periodo! ”.
D’improvviso, così, la scelta baby sitter sembra senza alcun dubbio la più saggia; deve solo immergere la testa nella sua borsa e cercare la rubrica telefonica.
E mentre è assorta nella sua vita quotidiana, in quegli imprevisti da risolvere, con qualche toppa da mettere qua e là e all’occorrenza le squilla il cellulare.
E’ Serena.
“Serena, ma non sei in pellegrinaggio?”
“Certo, non potevo mancare, sono qui”.
“Dimmi, che succede? Tutto a posto? E’ morto il Papa?, si sfoga d’un fiato, Sapessi che mattinata che ho avuto io! Neanche il tempo di accendere il televisore e di comprare il giornale”.
“Capisci Lucia? Fabio mi ha chiamata proprio in quel momento! Dimmi tu se non è un segnale!”
In sottofondo un sonoro Alleluja.
Durante la conversazione l’esaltazione di Serena fa da contraltare alla perplessità di Lucia così i suoi toni si accendono non poco.
Serena ci rimane male, ma poi giustifica la reazione dell’amica con lo stress che in pochi mesi ha accumulato tra la morte del marito, il lavoro, la casa e Sara.
In cuor suo ha già perdonato Lucia “Dai, Lucia, stai calma. Piuttosto, dai un bacio a Sara e non dimenticarti che dopo i funerali del papa andiamo al Rock Castle! Devi rifarti una vita, lo sai? Scusa ora devo attaccare altrimenti si scarica la batteria e mi serve fino a domani mattina. Faccio nottata anche oggi, te l’ho detto? Ora ti lascio, ciao ciao! Ti voglio bene”.
Serena attacca il cellulare senza neanche dare a Lucia il tempo di salutare.
Ore13:29 Lo sport si ferma.
E tutto sembra essersi fermato.
L’agonia del Papa ha le sembianze di un fenomeno mediatico come se non riguardasse la vita di un uomo. Il palinsesto televisivo ha accantonato tutta la sua programmazione e segue il decorso di quest’agonia minuto per minuto, come fosse una partita di calcio. I mass media enfatizzano quest’evento superando i record storici dell’11 Settembre. Con servizi già pronti, alcuni sfornati altri da sfornare. Si respira nell’aria l’ansia di quell’ultimo respiro, che sarà l’ennesima rincorsa per acquisire maggiore share.
Serena continua le sue preghiere passando tra lacrime, canti, sorrisi a qualche sconosciuto Papaboy. Manda un messaggio a Gabriele per sapere dove si trova Fabio, e uno a Giusy per dirle di non fare uscire la sua amica con lui. Unica pena: non l’avrebbe più cercata.
Poi guarda compiaciuta quelle tre tacche del Nokia che non l’hanno ancora abbandonata.
Nello studio invece Lucia saluta il cliente alle tredici e trenta. Non riesce a trovare la baby sitter così scappa di corsa a scuola a prendere Sara. Ha rinunciato definitivamente all’idea suocera.
Arriva alle quattordici di fronte a quel cancello marrone arrugginito. Sara è l’ultima bambina rimasta. Lei con la maestra. Lei triste, la maestra stizzita per il ritardo di Lucia.
“Sara, mamma deve tornare a lavorare, ti accompagno da nonna e vengo a riprenderti appena chiudo lo studio. Farò il prima possibile”.
D’improvviso dallo specchietto vede delle lacrime scendere sulle guance della piccola.
“Perché piangi Sara? Mamma torna presto, te lo promette”.
“Oggi la maestra mi ha sgridato” si spiega Sara tirando su il naso e passando la lingua sul labbro superiore per asciugare il muco.
“Perché?”
“Ha detto che il Papa sta morendo, che dovevamo pregare Gesù tutti insieme, che dovevamo scrivere una preghiera. Io non l’ho scritta. E mi ha mandato fuori”.
“E perché non l’hai scritta?”
Sara piange senza voler più parlare, questo almeno sembra a Lucia.
“Perché Sara? Lo sai che a mamma puoi dirlo, ti ascolto”.
Nel silenzio trascorrono tre minuti di pianto che a Lucia sembrano un’infinità.
Alla fine solo un secco ‘perchè no’ di Sara.
Poi il silenzio.
Di nuovo il silenzio.
Arriva a Piazza Mazzini. Lucia accompagna la bambina dalla suocera, le asciuga le lacrime. “Stai tranquilla tesoro, non succede nulla se non hai scritto la preghiera per il Papa. Stai tranquilla, mamma torna presto, il prima possibile”.
E torna al lavoro. Va verso lo studio, accende la radio. RDS comunica ore tre e cinque, venticinquemila persone a San Pietro. Eppure Lucia ha per la testa solo quelle lacrime che la fanno star male. Pensa che se in quell’incidente non avesse perso Luca ora l’avrebbe chiamato per dirgli di Sara, di quel pianto e di quel silenzio.
Meglio spegnere la radio.
Ore16:38 Rosario a San Pietro
Serena si guarda intorno, mastica il suo inglese con qualche pellegrino londinese e pensa che in quel marasma deve provare a contattare anche Chiara.
Che a Chiara farebbe bene essere lì.
Che Chiara, a sentir Serena, avrebbe bisogno di un padre spirituale da sempre.
Che Chiara, per l’amica, è una pecorella smarrita.
Che Chiara, lì, non ci sarebbe mai andata.
E Serena lo sa bene.
In effetti Chiara non sente nessuna buona ragione per andare a seguire l’agonia del Papa. Certo non crede che Gesù sia morto di freddo, ma ha troppe domande senza risposta, spinta emozionale pari a zero, fin troppo lontana dalla Chiesa e poi…Tutto quel chiasso!
Lei, come Lucia, non avrebbe mai raggiunto quella folla di fedeli.
Intanto Sara dorme. Sdraiata su quella poltrona, dorme accanto alla nonna. E lei che salta da uno speciale sul Papa all’altro, con il rosario tra le dita di una mano e l’altra mano poggiata sul petto. Proprio nel punto in cui finisce la sua collanina d’oro con tanto di medaglietta che porta la foto di Padre Pio da una parte e quella del marito dall’altra.
Lucia è in studio già da un’ora. Quella separazione giudiziale le sta levando fin troppe energie fino a sentire il peso del tempo che il lavoro toglie alla vita. Alla sua, da ricostruire, a quella di Sara a cui parteciperebbe di più, alle mille cose da sbrigare che ha ogni giorno. Che se una volta le divideva con Luca, ora sono tutte sulle sue spalle. Tutte.
Se non ha tempo per comprare un giornale, ne ha ancora di meno per pensare al Papa. Tra le sue corse e le sue soste ci sono solo conversazioni accese di passanti incrociati per caso che la tengono aggiornata sull’argomento. Ma solo quando riesce a svuotare la testa da tutto il resto.
Il che accade di rado.
Ore18:07 Le discoteche chiuderanno prima.
Ore18:08 Vetrine spente nei negozi in tutta Italia quando morirà il papa.
In pellegrinaggio i Papaboys in fermento.
Si parla della sera che sta per arrivare e Serena è in trepida attesa, come nei suoi sabato sera. Quando si accalca tra la folla a fare la fila per andare a folleggiare in qualche locale. Per rimorchiare e lasciare il suo numero di telefono al bicipite più definito o al sorriso più simpatico, o magari a tutti e due per non far torto a nessuno.
Lucia in quel frangente rimanda un appuntamento.
E solo per quel frigo semivuoto che deve riempire e per non togliere altro tempo a Sara. Lei appena svegliata beve un succo di frutta alla pera e mangia pane burro e marmellata ai fichi fatta dalla nonna. E la nonna le mette il dvd di Mary Poppins per spostarsi poi in cucina e proseguire con gli speciali e le sue preghiere.
Chiara, dopo la telefonata di Serena, sente gli amici del mare.
Loro di certo non parteciperebbero neanche alla prossima veglia e come lei, evitando il centro, godranno di quella serata con strade poco trafficate.
Senza fare troppe file nei locali di certo semivuoti e con la solita desiderata birra.
Ore20:17 Cresce allarme in Vaticano.
Ore 21:19 Inizia il rosario.
Ore 21:37 Il papa è morto.
Cresce la febbre del sabato sera con cellulari che impazziscono, lacrime che inondano volti stanchi e ancora presenti. Serena, una fra tante, è pronta con l’indice sulla tastiera del cellulare a mandare messaggi sconcertanti.
Imperversa così una sorta di catena di Sant’Antonio da brivido:Giovanni Paolo II se n’è andato. Manda un sms a tutti i tuoi amici e ti assicuri un posto in paradiso , oppure Il Papa è andato da Jesus Christ Superstar. Se mandi un sms a dieci amici tuoi riceverai una ricarica di due euro o accumuli otto punti , o ancora Il papa è morto. Domani rave al vaticano, guest star della serata Gigi D’Alessio con Questo piccolo grande papa.
Roma, 8 Aprile 2005
Ore 10:00 Funerali del Papa
Le esequie sempre tra pellegrini, calzini, pop-corn, Malboro lights e cellulare a tiro.
Serena mano nella mano con la nuova amica Doddy, anche lei una fedelissima, procede tra la folla con la veemenza di uno tsunami .
Quel funerale è una corsa sfrenata verso l’altare, e Doddy impugna la bandiera italiana come un passaporto da mostrare alla dogana.
Così Serena e l’amica, irriducibili, proseguono la loro marcia serrata verso quel legno ciliegio con in testa l’unica preoccupazione di poter dire Io ho toccato pure la bara! Io c’ero!...Proprio in quel momento si imbattono in un gruppo di spagnoli, anche loro al funerale con la bandiera di appartenenza.
Serena si blocca, ma solo un attimo, il tempo di guardare lo straniero negli occhi con la convinzione che si sposterà.
Nulla di fatto.
Gli occhi di Serena si infiammano e puntano inferociti quelli dello spagnolo che le sta ancora di fronte.
La rabbia di Serena prende corpo in parole e toni decisamente ardimentosi “Fammi passare! Questa è casa mia, levati di qui!”
Lo spagnolo rimane basito e impassibile. Serena, per tutta risposta, gli allunga una spallata tirando Doddy per il braccio.
Tra botte, spinte e strattoni inopportuni raggiungono l’altare.
La suocera è in cucina a piangere, commossa, con la medaglietta tra le mani. “Pregherò tutta la notte per il nostro Papa” dice parlando da sola di fronte al televisore “Che Dio lo Benedica e lo protegga”. Accende poi un’altra candela sul davanzale.
Chiara è a cena da “I Butteri” con Davide, Gianni, Ludovica ed Emma.
Alle venti e trentasette nelle sala cala il silenzio.
In tutti i tavoli.
Il Papa è morto, annuncia la tv.
Gli occhi di tutti sono rivolti allo speciale trasmesso da quei trentuno pollici.
Nel silenzio che impera c’era chi bisbiglia commenti, chi sorseggia la birra, chi finisce di mangiare, chi si guarda intorno per assorbire le diverse reazioni.
Chiara butta giù un altro sorso della sua doppio malto e sfiora Davide con una carezza. Che ateo da sempre come lei in quel momento di silenzio e distacco reagisce comunque commosso. E lei gli regala solo una carezza di affetto, poi senza dir nulla gli porge l'ultimo goccio di birra.
Gianni lascia i soldi sul tavolo “Ragazzi, scusate, ho bisogno di andare da Lucia. Vi chiamo domani”.
Lucia non ha ancora saputo nulla.
Rientrata a casa adesso.
Deve stendere la lavatrice, sistemare la spesa, preparare la cena, fare la doccia a Sara, farla mangiare e metterla a dormire.
E deve parlare con Sara. Questa la cosa più importante. Parlare e ascoltare Sara. Capire quel pianto motivato solo da quel secco ‘perché no’.
Decide di cominciare da questo, la cosa che le preme di più.
“Sara aiuti mamma a stendere i panni? Ti va di passarmeli?”
Lei annuisce, felice di godersi un po’ la sua mamma. Le corre incontro con tre magliette e un calzino.
“Tieni mamma” le dice abbracciandole i fianchi, lì dove arriva.
“Che hai fatto oggi con nonna?”
“Ho fatto finta di vedere Mary Poppins” si confida col tono di chi sta confessando un segreto.
“Hai fatto finta? Che significa?”
“Ti ricordi mamma quel foglio bianco? Quello della preghiera per il Papa?”
“Certo che mi ricordo, ti ascoltavo oggi in macchina”
“Io non so perché gli devo voler bene al Papa, perché gli dovevo scrivere una preghiera, non lo so mamma, davvero, ma so perché non volevo” continuava Sara con spontaneità, passandole altri indumenti.
“Me lo vuoi dire?” chiede Lucia incuriosita.
“Quando la maestra mi ha dato quel foglio bianco ho pensato a papà. Perché papà è morto in quell’incidente e non l’hanno curato bene? Io a papà gli voglio bene, è a lui che volevo scrivere. A lui ho scritto quando nonna mi ha messo Mary Poppins”.
Sara ha sette anni, così piccola eppure così grande e forte nello spiegarsi.
Adesso è Lucia, per amore, a trattenere le lacrime. Lucia non sa come proseguire. “Sara, ma per te chi è il Papa?”
“E’ Gesù nella Terra”.
“E Gesù chi è per Te?”
“Gesù è quello che mi ha portato via papà”.
“Non è importante che tu non abbia scritto la preghiera per il papa, Sara, stai tranquilla. E se quel foglio bianco era per il tuo papà, va bene, va bene così”.
Lucia con queste parole spera solo di riuscire a insegnarle la vita, cos’è davvero la vita. Quando crescerà le spiegherà com’è che invece VA .
Non sempre come dovrebbe.
“Allora non sei arrabbiata anche tu con me, mamma?”
“Certo che non lo sono” la rassicura Lucia.
Sara le passa l’ultimo calzino mostrandole un tenero sorriso e canticchiando “Supercalifragilistichespiralidoso…” .
Dopo fa la doccia, cen con la mamma e di lì a poco entra nel suo amorevole letto.
Come sempre.
Lucia lava i piatti pensando alla chiacchierata con la figlia.
Gianni suona il campanello.
Alle ventitre e trenta. Orario insolito.
Lucia si mette di fretta una tuta e una felpa e va ad accogliere il suo amico.
“Ehi, che ci fai qui a quest’ora?”
“Hai sentito?... Il Papa?…E’ morto”. Gianni si guarda intorno, basito nel non vedere un televisore acceso e nel vedere il volto sorpreso dell'amica . “Ma dove vivi Lucia? Non sapevi nulla?”
“Scusa Gianni ho avuto una giornata difficile, preferirei andare a dormire”.
Così Lucia congeda il caro amico.
Dopo averlo salutato chiude la porta, va in salone e accende il televisore.
Danno servizi speciali su ogni canale.
Dopo pochi minuti, esausta, preme il tasto mute del telecomando. Lucia si concede solo qualche immagine. Troppe parole, pensa, troppo inutili.
Così alza lo sguardo per leggere una notizia curiosa che passano sul video: Ha acceso un lumino per il papa e ha mandato a fuoco l’appartamento. E’successo a Spoleto e la responsabile dell’episodio è una donna sola, uscita però indenne da quest’incidente casalingo. Per miracolo, spiega lei, perché il Papa mi ha salvata!.
Ah già, pensava Lucia interdetta, i miracoli.
Legge poi un’altra notizia: ore 21:37. Muore il papa. Il famoso segreto di Fatima è rivelato dalla somma dei numeri che compongono l’ora della sua morte. Due più uno più tre più sette dà il famoso tredici. Mistero svelato.
E con questa rivelazione Lucia chiude la sua giornata.
Si affaccia alla camera di Sara “Buonanotte piccola” le sussurra e attenta a non fare rumore va nella sua stanza.
Guarda quella metà del letto vuota e tira un forte e lungo sospiro.
Poi punta la sveglia alle sette.
Come sempre.
E va a dormire.
Come sempre.
Nei giorni a seguire c'è il Conclave, il mondo in attesa di quella fumata bianca. Serena fa un’ultima telefonata: “Lucia sai che c’è? Sto pensando che da cardinale io voterei senza dubbio Ratzinger, da donna di colore l’Africano, da ballerina di salsa il latinoamericano. E sto pensando che dopo il Conclave voglio uscire di nuovo col bicipite definito…Si, mi sono rimessa con Fabio, ma….Beh, a Fabio dirò che esco con te”.
Lucia comincia a credere che durante i cori, in quei giorni, fosse partito un fumogeno dritto dritto sui neuroni dell’amica. Inorridita, Serena! Esclama, NON PUOI PARLARMI DA CARDINALE!’
Questa volta è Lucia, piuttosto spazientita, ad attaccare il telefono.
E lei, Lucia, ancora non ha avuto modo né tempo di pensare alla morte del Papa.
domenica 18 settembre 2011
l'intervista a Silvia Tessitore per ELEVEN IN SEPTEMBER
Eleven in september. Il romanzo reportage che dà voce ai sopravvissuti all'11 settembre.
. Come nasce l'idea di questo romanzo/reportage?
Nasce da un'esigenza molto personale, che ha a che fare col mio primo mestiere, il giornalismo: vedere, sentire, raccontare la parte più intima di una tragedia che ha "cambiato il mondo". E poi andare a New York, per la prima volta a 45 anni, dopo aver visto in diretta tv morire un sogno mai realizzato: salire in cima alle Torri. Il reportage ha poi assunto forma di romanzo, l'esperienza dell'io narrante e dei testimoni s'è intrecciata in un unico tessuto, che spero riuscito ed efficace.
2. Cosa hai trovato nella New York post 11 settembre?
New York ti sorprende al di là di ogni stereotipo. E' accogliente, generosa, ci vivono 173 nazionalità diverse. Lì il melting pot è una realtà, basta guardare le facce della gente: sono il miscuglio più straordinario dei tratti più diversi, come un concentrato di mondo. Il dolore del'11 settembre ha toccato tutti a NY, indistintamente, persone d'ogni provenienza, cultura e religione. NY è forte di uno "spirito civico" che in Italia non riusciamo a immaginare, e l'integrazione è nei fatti.
3. Al di là degli incontri con i sopravvissuti, cosa ti è rimasto dell'incontro con Peter e Lisa, i tuoi accompagnatori?
Una grande amicizia. Ma a New York ho scoperto che l'11 settembre ha avuto quest'effetto su molte persone, le ha unite in un legame tenace. Condividere il dolore di certe tragedie, seppure indirettamente come nel mio caso, mette in comunicazione la parte più profonda di noi stessi.
4. Cosa spinge un editore a pubblicare in self-publishing?
L'insofferenza, la voglia d'indipendenza da logiche di consumo che hanno ridotto il libro a "prodotto" a corta scadenza, e i banchi delle librerie alla stregua dei banchi-frigo dei supermercati. Logiche di cui sono responsabili i grandi gruppi editoriali, e che lasciano ai piccoli editori come me solo spazi residuali. Allora, meglio giocare da battitore libero e affidarsi alla rete, che ha un pubblico meno generalista, selezionato per interessi.
5. Viviamo dunque una situazione in cui i grandi gruppi fanno il bello e il cattivo tempo?
Sparite o in forte crisi le librerie indipendenti, distribuzione e vendita sono in mano alle librerie di catena - Feltrinelli in primis, che ha acquisito anche PDE, uno dei maggiori distributori - che vendono gli spazi, dai banchi alle vetrine: chi può permettersi di comprarli se non editori con forti capacità economiche e grandi tirature? Le classifiche sono taroccate, le recensioni si pagano (anche attraverso scambi pubblicitari), quindi la piccola editoria è fuori gioco. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata: brutalizzando, da quando Mr. B. ha "comprato" Mondadori e Feltrinelli ha masicciamente investito sulla catena commerciale. E L'Antitrust, in tutto questo, dov'è?
lunedì 2 maggio 2011
A Tor Bella Monaca il primo maggio è lotta contro la cementificazione del municipio.
Lontano dai papa toys, così li chiamo i noti "boys" e altrettanto distante dai festeggiamenti del primo maggio a San Giovanni, la festa dei lavoratori a Roma si è spinta fino al quartiere periferico di Tor Bella Monaca grazie all’organizzazione del comitato No Masterplan.
Un primo maggio, questo dell’ottavo Municipio, autofinanziato dal comitato e programmato per proseguire la battaglia contro l’abbattimento delle torri del quartiere per cementificare secondo le decisioni del sindaco Alemanno e per continuare a ribadire che il 12-13 giugno ci sarà il referendum e i cittadini vogliono battersi per una gestione dell’acqua che sia pubblica, partecipata e democratica: 2 Sì per l’Acqua bene comune.
Il verde della pineta che verrà abbattuta per edificare è stato il luogo di festa, riflessioni, incontri e numeri che oggi lasciano ancora indignati e preoccupati i cittadini del municipio.
Si tratta di abbattere torri e palazzine per 28.000 abitanti e di ricostruirne per 44,000, quasi vicini al doppio. Credere che ogni famiglia, a dire di Alemanno, avrà la propria abitazione e le rimanenti saranno destinate alla vendita non sembra facile. E non è chiaro.
“Non è la questione delle torri a preoccupare di più. Costano per essere mantenute e se è necessario che vengano sostituite.” racconta Sabrina, del comitato No Masterplan. “Alemanno però – prosegue - vuole buttare giù anche palazzine che non presentano nessun disagio. Il suo è solo un progetto economico. E dove andranno a finire gli occupanti? Perché buttare beni già esistenti?”
I cittadini si interrogano e non trovano risposte che possano tranquillizzare.
Sabrina abita nelle torri di viale Santa Rita da Cascia, dal 1987, in un appartamento con due camere e un bagno. È un’assegnataria dell’ADER. Si lamenta perché le torri hanno bisogno di lavori di manutenzione ordinaria, ma sottolinea che spesso avvengono lavori “senza senso”, così li definisce. E fa riferimento a un impianto antincendio cambiato ben due volte nell’arco di un breve periodo.
R 18. Andrea si lamenta perché da due giorno sono senz’acqua a causa della rottura di una pompa.
R 4. E la Signora Evelina, sempre del comitato, racconta di aver fatto la domanda al comune per ricevere casa nel 1973 e di averla ricevuta nel 1983 perché donna divorziata, con due figli, di cui uno con handicap.
Evelina, fa parte anche lei del comitato ed è in prima linea per questa battaglia contro la cementificazione di Tor Bella Monaca perché è una di quelle donne che si è ritrovata a dove lottare da subito: racconta della raccolta delle firme negli anni ’80 per far arrivare i mezzi pubblici al municipio, ma anche dell’atto di forza per far aprire le scuole. È stata lei a farsi dare le chiavi dal comune per aprire le scuole.
Ed è indignata per quegli spazi dedicati alla ludoteca e al centro anziani che hanno dovuto occupare perché Alemanno l’ha poi voluti destinare alla box.
E perché i disagi e le problematiche spesso trovano ingiustamente solo la strada della soluzione con i propri mezzi, a Tor Bella Monaca ieri c’è stato anche Massimo Filipponi.
In molti lo ricorderanno per aver perso la casa popolare a seguito di un incendio. È avvenuto a Febbraio. Dove vive oggi? E dopo due mesi? Massimo ha avviato la sua protesta in modo decisamente singolare: in attesa di una nuova dimora alloggia a sue spese in un albergo.
L’amministrazione se ne disinteressa. Questo ha spinto il signor Filipponi a stampare volantini con la fattura relativa al suo soggiorno in albergo, pari a 3.095,00 euro dal 29 febbraio al 19 aprile e le ha poi distribuite a consiglieri e cittadini.
Perché poi, chiede Filipponi, la consigliera Vanda Raco, ha invece ricevuto 7,000 euro di romborsi?
Perché i soldi per gli amministratori ci sono e per un cittadino no?
Un primo maggio di incontri, confronti e riflessioni, perché chi vive il disagio dell’emergenza abitativa vuole cercare la strada della risoluzione e non lasciarsi andare alla disperazione passiva di chi non sa dove e come combattere.
Isabella Borghese
giovedì 10 marzo 2011
IO DOMANI NON POSSO SCIOPERARE, I. Borghese
Domani io non posso scioperare!
Di quello che ero fino a pochi anni so bene poco, né mi interessa più.
Una psicoterapia durata più di cinque anni mi ha lasciato tanta confusione, molte dimenticanze sul mio passato, ma ho anche molta lucidità, consapevolezza e voglia di esserci come sono e come mi desiderano gli altri.
Gli altri che si sono affezionati anche a Rose.
Guardo gli statini dei mie esami universitari e a mala pena ricordo di aver dato persino quelle materie. Risfoglio quei libri per ristudiare, per ricordare quello che sia giusto non abbandonare del tutto ma riscoprire. Questo deve interessare solo me, però. Interessare solo me che oggi ci sono, presente come voglio, come devo, come non potrei essere diversamente. Mai più. Per me stessa e per gli altri.
Conosco persone che vivono avendo come fine unico portare uno stipendio a casa a fine mese, senza alcun interesse per il lavoro in se stesso.
Io appartengo a quella schiera di uomini e donne, pazze o solo appassionate, di certo numerose, che vivono più di passioni che di lavoro.
Appassionarmi alla scrittura è un amore nato con me o almeno da quando ho imparato a leggere e scrivere.
Dev'essere stato così forte sin da quando non ero che una bambina che questo non l'ho potuto dimenticare. No. Mai.
In questi anni, negli ultimi tre in particolare, trovare un lavoro è stato quasi pari alla possibilità di vincere all'enalotto. L'unica differenza è che se solo vi avessi mai giocato e se avessi mai vinto, i soldi guadagnati non sarerebbero mai stati i compensi di un qualsiasi lavoro precario, a progetto, senza ferie pagate, senza malattie, senza nulla che possa permettere a un lavoratore di assicurarsi neanche il futuro. Parlo del futuro più prossimo. Anche del mese che segue questo.
Lavorare non è più un diritto, ma lo fanno passare come un'eccezione. Questo non è un paese per chi vuole lavorare.
Questo è il paese in cui il bunga bunga ha non solo denigrato e indignato tutte le donne che faticano ogni giorno per arrivare a fine mese, ma se possibile ha fatto anche passare la notizia che per avere i soldi, i soldi? Milioni di euro in tasca, macchine, case è sufficiente, sfruttare il proprio corpo. Questo è il paese in cui per farti ascoltare ormai devi salire sui tetti, manifestare per anni, aspettare che una donna venga violentata nell'ex ambasciata somala per sgomberarla quando da tempo vivevano lì dentro in condizioni pietose. E Roma, non è Lei la capitale? Eterna eppure così contraddittoria. Ed è proprio qui che poi sembra risolutivo o anche da pagina di un quotidiano accendere le luci del Colosseo dopo una settimane di violenze sulle donne. L'Italia che strizza l'occhio ai più furbi e l'Italia del "meglio domani che oggi".
L'Italia delle apparenze. L'Italia che spreca i soldi per accendere le luci del monumento dopo una violenza, per "dare un segnale" ma quegli stessi soldi potevano essere investiti diversamente. Per il necessario. Ciò che oggi è davvero indispenabile. E' l'Italia delle bandiere fuori dalla finestra per i centocinquant'anni dall'Unità. Tutto questo oggi rasenta il ridicolo.
L'Italia che non si vergogna. L'Italia che predica e strilla contro Berlusconi come se al governo ci fosse andato da solo.
L'Italia che se vai a Trans si scandalizza, ma poi ci va di nascosto. L'Italia che le puttane non le vuole in strada, ma nel letto sì e ci fa festa. E per dargli un tono poi le chiama escort. L'Italia che non accetta ciò che esiste con l'uomo senza far male a nessuno: quale puttana ha fatto mai male? quale trans? persone che per la maggior parte se fanno male fanno male a se stessi.
L'Italia che se ti dichiari omosessuale sembri venire ancora da un altro mondo perché ti ci spediscono persino se ti vuoi sposare. E che ancora parla dei dichiararsi come se alla nasciata uno si dovesse dichiarare etero o bisex, omosessuale...
l'Italia che se vai in Chiesa i preti si battono il petto e predicano, ma se vai a ballare la notte, li puoi incontrare a petto nudo a giocare a incularella. Ma predicano altro. Questo è il problema: il predicare. Non i gusti personali dell'essere umano su cui, sinceramente, non ho nulla da dire.
L'Italia che non rispetta i ruoli né permette agli uomini di avere una vita privata.
L'Italia più provincia che Pease.
L'Italia che è una penisola e oggi fa acqua da quasi tutte le parti.
L'Italia in cui avere un lavoro dovrebbe farci sentire liberi di manifestare e di scioperare... Eppure IO DOMANI NON POSSO SCIOPERARE. Perché? Perché stamattina causa affollamento metro e servizi decisamente poco efficienti non ho potuto raggiungere la mia postazione di lavoro. E il mio contratto prevede un compenso giornaliero solo se lavoro, altrimenti non percepisco nulla. E se oggi non ci sono stata NON posso concedermi la LIBERTA' di mancare domani, perché con uno stipendio medio part time mi devo mantenere ringraziando, chi oggi, non mi fa pagare l'affitto, per generosità. E perché i soldi che percepirò domani mi saranno utili per manenere viva la mia passione e proseguire un progetto e altri che non faranno il mio lavoro, ma restano il senso primo e fondamentale della mia vita.
E vivere deve avere un senso per tutti. Scoprirlo e cercare di non lasciarlo morire perché il nostra paese non ci ama e non si prende cura dei suoi cittadini, è un dovere verso se stessi, poi verso gli altri.
IO DOMANI NON POSSO SCIOPERARE. E' vero. Sarò una voce fuori dal coro. Sarò una voce che andrà per conto suo. Eppure vivo nella convinzione che ogni donna o uomo può togliersi la maschera della vergogna e vestirsi di dignità e responsabilità verso se stesso e di conseguenza verso gli altri anche se prende una scelta differente.
IO DOMANI NON POSSO SCIOPERARE perché non amo il mio lavoro ma profondamente la mia passione.
Per ricostruire in grande bisogna partire dal basso.
Per rinascere come si deve bisogna prima morire.
Per andare verso gli altri e con gli altri si può anche mostrare e confessare di essere su un'altra strada assicurando tuttavia che l'obiettivo sia lo stesso per tutti.
L'Italia e Me.
Lei, un Paese che sta rinascendo femmina accompagnata da uomini che la appoggiano e la sostengono.
E io, che devo imparare a non vergognarmi per il mio passato dimenticato, ma a rispettarmi per quello che sono oggi. E andare avanti.
IO DOMANI NON POSSO SCIOPERARE, MA L'HO FATTO OGGI.
Come se ci sarò!
Isabella Borghese
10-03-2011
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